La mia battaglia, Elio Germano e l'arte della persuasione fra palco, video e pagina scritta
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TEATRALIA
Spettacolo senza spettatori, lo specchio infranto dell’arte, l’impossibilità di specchiarsi, di riconoscersi, di fissare lo sguardo nella scena sospesa sul possibile che offre l’atto creativo. Possono gli spettatori essere comparse? Può il pubblico essere pagato per assolvere al suo ruolo, invece di pagare il biglietto per acquistare un sogno e un’emozione, per partecipare alla realtà vertiginosa dell’arte? Possono il mezzo/denaro, l’essere scritturati e cambiar maschera: da spettatore a comparsa costituire un modus per recuperare il legame scena/platea, pur con la complicità invasiva delle telecamere? Il Festival di Sanremo avrebbe voluto scritturare gli spettatori in sala per salvare le apparenze: pagare dei figuranti per avere pubblico. Ma la pandemia ha chiuso i teatri. L’Ariston sanremese è un teatro – di fatto e di nome -, è anche un cinema e allora… le regole sono regole. È stato questo il colpo di coda del ministro Dario Franceschini che per una volta ha messo da parte piattaforme e lavoratori che fanno divertire e ha detto «No!», un no pronunciato in zona Cesarini del Governo Conte fagocitato dalle polemiche dell’Italia (Viva) moribonda e pronto ad essere incenerito dai Draghi.
Politica a parte (ma la politica è parte del teatro, sempre e comunque: il teatro è cuore della città, la platea è piazza), Sanremo senza spettatori si farà. Ma ciò suscita una riflessione e conferma come il teatro – luogo della visione, ma anche della parola agita – sia presenza, non possa essere che dialogo fra chi sta in scena e chi sta in platea, entrambi gli attanti accomunati da un codice condiviso, da una koinè comune, da un rito di cui conosciamo e ri-conosciamo le regole. Il pubblico di comparse è pubblico di fantasmi, di figuranti che giocano un ruolo, che si offrono come mercenari di un abbraccio – ovvero l’applauso – a comando, pagato, una prostituzione tattile.
Eppure il 16 gennaio scorso Andrée Ruth Shammah ha scritturato gli spettatori per un rito di condivisione, per dare vita all’anno che segnerà il 50° dell’inaugurazione del Salone Pier lombardo, oggi Teatro Franco Parenti. Un centinaio di spettatori, abbonati, fedelissimi del Franco Parenti che – nel rispetto delle norme che prevedono figuranti per le riprese televisive – la regista milanese ha chiamato per un dialogo fra spettatori in sala, spettatori a casa e il teatro Franco Parenti. Un’augurazione, l’ha chiamata Shammah, un atto di resistenza teatrale, di resilienza culturale che nulla ha a che fare con la necessità di scritturare comparse per il grande spettacolo nazionalpopolare di Sanremo, perché tutto sembri come sempre, ma come sempre non può essere.
E lo si dice non solo pensando ai lavoratori dello spettacolo fermi da un anno o quasi, ai teatri chiusi da 100 giorni, dopo l’ultimo lockdown, ma anche consapevoli di come stia prendendo piede la "pericolosa" abitudine allo streaming, agli spettacoli in video. Sembra quasi normale non sentire necessario il corpo, il nostro stare lì, seduti in poltrona, su una panca, accanto a qualcuno che si conosce o a uno sconosciuto, a contatto per condividere un viaggio, partecipare a una visione. Ci si abitua proprio a tutto, o quasi. Ma il pubblico, gli spettatori non possono essere figuranti, non possono essere comparse perché nel loro stare sono coro, sono un corpo unico che dialoga con chi è in scena, ne condivide le emozioni, la carne, il sudore, la passione e il dolore. In platea – il termine in latino indica la piazza – si sta l’uno accanto all’altro, si è un corpo unico che respira, si muove, rumoreggia e applaude, che soffre e gioisce, che ride e piange… in una sola parola che vive.
Ecco il teatro nel suo essere rito condiviso è respiro di vita e allora non si può far finta di respirare, o si respira o non si respira e lo sappiamo bene quanto prezioso sia il respiro. Non c’è prezzo per il coro, non c’è prezzo per uomini e donne che – nel rito del teatro – rispondono a una chiamata, escono di casa, si vestono più o meno elegantemente, si affacciano carichi di aspettative alla porta del teatro, pagano il biglietto, cercano il loro posto, si siedono, solitari o in compagnia, ma tutti indistintamente in attesa che qualcosa accada, che all’aprirsi del sipario un mondo si spalanchi davanti a loro, un pensiero, un’emozione li travolga, li avvolga. Gli spettatori con la loro presenza chiedono che si mostri loro l’inatteso, il possibile e l’improbabile, si racconti di una visione altra del mondo in cui rispecchiarsi, con cui dissentire, ma pur sempre una visione che cambia, trasforma, di cui si è testimoni e diretti protagonisti, astanti non muti, ma coro partecipe di un’epifania di bellezza e di pensiero… il teatro.
Nicola Arrigoni
06 Febbraio 2021
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Commenti all'articolo
Antonio
2021/02/20 - 14:38
I figuranti sarebbero stati una prosecuzione di ciò che avveniva gli scorsi anni, non sarebbe stata una novità.
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